XIX Olimpiade, Città del Messico (MEX), 12-24 ottobre 1968
Atleti: 5.555 (784 donne), 167 Italiani
Nazioni: 112
Gare: 172
Dichiarazione d’apertura: presidente della Repubblica messicana Gustavo Diaz Ordaz
Giuramento: Pablo Garrido Lugo
Ultimo tedoforo: Enriqueta Basilio
Medagliere: USA 107, Italia 16
Alfiere italiano: Raimondo D’Inzeo
Al momento dell’assegnazione dei Giochi a Città del Messico le maggiori perplessità sono legate all’altitudine (2.250 m), ma in realtà i problemi arriveranno dalla contestazione studentesca e dalla conseguente, violenta repressione attuata da polizia ed esercito, sfociata nel “massacro di Tlatelolco”, avvenuto solo 10 giorni prima dell’apertura delle Olimpiadi, dove circa 300 giovani manifestanti vengono uccisi. L’intera organizzazione vacilla sul da farsi, ma i Giochi si terranno senza ulteriori problemi e, anzi, sarà proprio lo spirito olimpico a ricomporre la frattura sociale con una cerimonia di chiusura commovente ed unica nel suo genere, in cui pubblico e atleti festeggeranno insieme sul prato dello stadio. L’altitudine, dal canto suo, contribuisce alla realizzazione di record epocali, specialmente nell’atletica leggera: valga su tutti il poderoso salto in lungo di Bob Beamon, che con 8 metri e 90 centimetri supererà di oltre mezzo metro il primato precedente, stabilendo una misura che necessiterà di oltre 20 anni per essere battuta. Impressiona Dick Fosbury, che si aggiudica l’oro nel salto in alto con la sua personalissima tecnica dorsale, che in brevissimo tempo soppianterà lo scavalcamento ventrale fin lì utilizzato in tutto il mondo. L’immagine simbolo di questi Giochi, però, arriva alla premiazione dei 200 metri piani, quando due atleti afroamericani, Tommie Smith (oro) e John Carlos (bronzo) sollevano il pugno con un guanto nero, tenendo la testa china e rifiutandosi di guardare la bandiera a stelle e strisce issata sul pennone dello stadio. Il loro è un gesto di protesta clamoroso, una fortissima protesta contro la discriminazione che la loro razza è ancora costretta a subire negli USA, malgrado le dichiarazioni di facciata. Il bottino dell’Italia è magro, stavolta: solo 16 medaglie e, peggio ancora, solo 3 ori. Per un Klaus Dibiasi che esplode a livello mondiale nei tuffi, perdiamo Menichelli nella ginnastica, vittima di un grave infortunio al tendine d’Achille che ne comprometterà la carriera.
XX Olimpiade, Monaco (BRD), 26 agosto – 11 settembre 1972
Atleti: 7.113 (1.059 donne), 224 Italiani
Nazioni: 122
Gare: 195
Dichiarazione d’apertura: presidente della Repubblica federale tedesca Gustav Heinemann
Giuramento: Heidi Schuller
Ultimo tedoforo: Gunter Zahn
Medagliere: URSS 99, Italia 18
Alfiere italiano: Abdon Pamich
Su questa edizione ce n’è fin troppe da raccontare, nel bene e nel male. Cominciando dalle cose belle, non si può non iniziare dal campione che legherà per sempre il suo nome alle Olimpiadi di Monaco: Mark Spitz. Il nuotatore statunitense vince 7 medaglie d’oro (100 e 200 stile libero, 100 e 200 farfalla e le tre staffette), stabilendo il record mondiale in ognuna delle gare a cui prende parte. Arriva poi il primo dei tre ori consecutivi della carriera di Teofilo Stevenson, leggendario peso massimo cubano, mentre nella finale di basket si assiste alla contestatissima vittoria sulla sirena dell’URSS contro gli USA. Tra le 18 medaglie italiane, da segnalare le tre conquistate da Novella Calligaris, due argenti e un bronzo, le prime azzurre nel nuoto. E nei 200 metri piani vince a sorpresa il bronzo un certo Pietro Mennea, che tante soddisfazioni regalerà in futuro allo sport italiano. Passando agli aspetti di gran lunga meno felici di questa edizione dei Giochi, dapprima viene rifiutata la partecipazione della Rhodesia, accusata di discriminazione razziale dalla maggior parte dei Paesi africani, una questione che avrà strascichi fino a Montreal, quattro anni dopo. In piene Olimpiadi, però, avviene il fatto più drammatico: nella notte tra il 4 e il 5 settembre un commando di terroristi palestinesi del gruppo “Settembre nero” sequestra la squadra israeliana nei suoi appartamenti del villaggio olimpico, uccidendo 2 atleti. Dopo febbrili trattative, i sequestratori ottengono di essere portati in elicottero all’aeroporto per essere imbarcati su un aereo che li porti in un paese arabo, ma la polizia tedesca è lì ad aspettarli. Ne nasce un conflitto a fuoco e il tragico bilancio finale è di 17 morti (11 atleti israeliani, 5 palestinesi e un poliziotto). Tutti i caduti verranno celebrati con una commemorazione funebre il 6 settembre, nello stadio Olimpico, ma i Giochi verranno portati a termine.
XXI Olimpiade, Montreal (CAN), 17 luglio – 1° agosto 1976
Atleti: 6.074 (1.262 donne), 211 Italiani
Nazioni: 92
Gare: 198
Dichiarazione d’apertura: regina Elisabetta II d’Inghilterra
Giuramento: Pierre Saint-Jean
Ultimo tedoforo: Stephane Prefontaine
Medagliere: URSS 125, Italia 13
Alfiere italiano: Klaus Dibiasi
Le Olimpiadi di Montreal si aprono con il primo di tre boicottaggi consecutivi, quello degli stati africani (ad eccezione di Senegal e Costa d’Avorio), per protesta contro la decisione avversa del CIO alla loro richiesta di esclusione della Nuova Zelanda, colpevole di aver inviato gli All Blacks in Sudafrica (nazione espulsa dal CIO per l’apartheid). Per i padroni di casa non è un’edizione positiva, sia in senso sportivo (non vinceranno neppure un oro) che in quello organizzativo (la manifestazione chiuderà con un notevole passivo di bilancio). In più, si inizia a parlare di “doping di stato”, sulla scorta dei clamorosi successi della Germania Est, vincitrice di ben 40 ori e seconda nel medagliere dietro l’URSS. Nelle gare, Montreal regala al mondo lo show personale della più grande ginnasta di tutti i tempi, la romena Nadia Comaneci (al tempo neppure quindicenne): vince 3 ori (generale individuale, parallele asimmetriche e trave), un argento a squadre e un bronzo nel corpo libero, e per ben 7 volte la giuria le riconosce il voto massimo. Nell’atletica leggera il personaggio da copertina è un cubano, Danger Juantorena, atleta dotato di un’enorme falcata che gli varrà il soprannome di “el caballo”, vincitore dei 400 e degli 800 metri piani. Per l’Italia solo due ori: Fabio Dal Zotto, diciannovenne, trionfa a sorpresa nel fioretto individuale, mentre si conferma Klaus Dibiasi nei tuffi dalla piattaforma. Argento per una giovane Sara Simeoni nel salto in alto.
XXII Olimpiade, Mosca (URSS), 19 luglio – 3 agosto 1980
Atleti: 5.254 (1.120 donne), 159 Italiani
Nazioni: 80
Gare: 203
Dichiarazione d’apertura: segretario generale del Partito comunista sovietico Leonid Breznev
Giuramento: Nicolaj Andrianov
Ultimo tedoforo: Sergej Belov
Medagliere: URSS 195, Italia 15
Il secondo boicottaggio olimpico è ben più importante di quello di Montreal, visto che coinvolge Stati Uniti, Germania Ovest, Cina e diversi altri Paesi. La causa scatenante è l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS, padrone di casa, avvenuta pochi mesi prima dei Giochi. Altre nazioni, come l’Italia e la Gran Bretagna, scelgono una via intermedia: sfileranno sotto la bandiera olimpica (quella del CONI, nel nostro caso), senza inviare atleti appartenenti ai corpi militari. Quella di Mosca sarà comunque un’edizione con diversi momenti d’interesse, ma certo le assenze, una su tutte quella dello squadrone americano, falseranno in qualche maniera la scala dei valori in campo. Ne beneficerà in primis l’URSS, che sfiorerà le 200 medaglie, e, soprattutto nell’atletica leggera, anche l’Italia, con gli ori di Mennea nei 200 metri, della Simeoni nell’alto e di Damilano nei 20 km di marcia. Storico l’oro di Ezio Gamba nel judo, il primo dell’Italia in questa disciplina, e l’argento della nazionale di pallacanestro. I veri personaggi da copertina sono però due atleti inglesi, Sebastian Coe e Steve Ovett, grandi rivali che si spartiranno gli ori negli 800 (Ovett) e nei 1500 (Coe) metri piani.
XXIII Olimpiade, Los Angeles (USA), 28 luglio – 12 agosto 1984
Atleti: 6.796 (1.570 donne), 270 Italiani
Nazioni: 140
Gare: 221
Dichiarazione d’apertura: presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan
Giuramento: Edwin Moses
Ultimo tedoforo: Rafer Johnson
Medagliere: USA 175, Italia 32
Alfiere italiano: Sara Simeoni
È fin troppo facile prevedere che l’URSS renderà pan per focaccia agli Stati Uniti, boicottando la loro Olimpiade casalinga quattro anni dopo quella di Mosca, ed è ciò che puntualmente avviene. Gli unici stati comunisti presenti ai Giochi saranno Romania e Jugoslavia, mentre l’URSS, Cuba e tutti gli alti Paesi del Patto di Varsavia non andranno in California. Quella di Los Angeles è la prima edizione in cui i Giochi divengono un vero e proprio business; l’organizzazione viene affidata completamente a un uomo d’affari, Peter Ueberroth, che saprà ricavarne profitti stellari (circa 250 milioni di dollari), soprattutto grazie alla sopraggiunta libertà di contrattazione dei diritti televisivi, concessagli dal nuovo presidente del CIO, lo spagnolo Juan Antonio Samaranch (a patto che la metà dell’introito finisse nelle casse del CIO stesso). Sui campi di gara, gli USA ripetono quello che avevano fatto i sovietici quattro anni prima, approfittando della scarsa concorrenza per dominare in tutte le discipline: la stella si chiama Carl Lewis, non a caso soprannominato “il figlio del vento”, vincitore di 100, 200 metri piani, staffetta 4×100 e salto in lungo. L’Africa vince il primo oro femminile della storia grazie alla marocchina Nawal el-Moutawakel, campionessa nei 400 ostacoli. L’Italia approfitta delle assenze facendo incetta di ori in discipline altrimenti dominate dagli atleti dell’Est: Oberburger nel sollevamento pesi, Andrei nel lancio del peso, Maenza nella lotta greco-romana e Maurizio Stecca nella boxe. A far loro da contorno le prestigiose affermazioni di Gabriella Dorio nei 1500 metri piani e di Alberto Cova nei 10 mila. Sara Simeoni conquista la terza medaglia olimpica della sua strepitosa carriera, con un argento (2 metri al primo tentativo) che a lungo sembrerà essere un oro. La supererà solo la Meyfarth, a 2,02.