SE N’È ANDATO ENZO AUGELLO

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È scomparso pochi giorni fa Enzo Augello, protagonista della pallamano nazionale ma soprattutto uomo senza tempo, con delle rare virtù caratteriali; doveroso un commento a freddo.

È

trascorso qualche giorno.
Ci ha lasciato a soli 63 anni Enzo Augello, storico atleta della nazionale di pallamano e considerato dagli addetti ai lavori tra i più forti mai visti, difendendone i pali per circa dieci anni e vincendo la medaglia di bronzo ai Giochi del Mediterraneo 1991 ma non solo.
Perché nel suo palmares con centinaia e centinaia di presenze nella massima serie, è stato assoluto protagonista e beniamino degli appassionati nei club in cui ha militato, tra questi uno scudetto a Scafati nel 1984 e ben tre con la storica Ortigia Siracusa (1987, 1988 e 1989) oltre una Coppa Italia, tanto da stabilirsi nella città aretusea una volta appesa la “conchiglia” al chiodo.
Restando in questi anni, nello staff di società del territorio come allenatore dei portieri nonché selezionatore regionale.
Nel web e sulle pagine social sono innumerevoli i messaggi che sconvolti, hanno cercato una carezza, un motivo per provare a metabolizzare l’incredulità dell’accaduto.
È stata personalmente una figura d’ispirazione, nel vedere quell’Ortigia il sabato in campo e sognare un giorno di essere come loro, compresa a fine partita un buffetto, una parola scambiata o una carezza con le mani sporche di pece sui capelli dopo un complimento.
Un contatto affinchè con l’impegno di una passione, qualcosa potesse accadere.
Un’ammirazione che verso il personaggio sportivo di questo calibro, è solitamente vista sul piedistallo.
Capita poi all’improvviso, che uno di loro (lui), dica o faccia delle cose che potresti dire a un tuo amico, che potrebbe dirti un tuo amico, che stanno nella nostra vita.
Ti somiglia, non è più quel fenomeno capace di fare solamente cose straordinarie e allora seppur in lontananza, riesce persino a farti compagnia.
È uno come me, che potrei essere, persino uno così, ha qualcosa che riguarda me.
Un’anima esposta come Ayrton Senna, qualcosa nel suo stare al mondo, che metteva da parte tutto quel “tanto” nella vita di un campione, per badare alle cose che stanno nella vita di tutti noi, talvolta nonostante le sue di difficoltà.
Dove anima e destino si parlano, ci parlano.
Proprio come avvenne all’alba del nuovo Millennio con un manipolo di ragazzini selezionati in una scuola media da un attento, bravo e preparato Professore di Educazione Fisica nonché allenatore di pallamano, dove partì una storia a dir poco straordinaria che grazie a Enzo è oggi possibile rammentare.
Un gruppetto di adolescenti, tesserati da quella stessa Ortigia che purtroppo in quegli stessi anni, iniziava la parabola discendente della prima squadra ma in parallelo, pullulava un sogno, sul petto quel simbolo, reso possibile anche dai suoi allenamenti, dai suoi consigli, dalla qualità e dimensione mentale quanto caratteriale che serviva per essere preparati oltre i confini isolani.
Due o tre cose che sapevano fare bene, come pochi o nessuno, ricercando nell’errore il motivo e non il colpevole.
Perché in campo, non vanno la qualità delle maglie, il marchio dei borsoni oppure i budget, ma la voglia, la fame di esserci, il compimento di un sogno facendo per bene i compiti a casa con un solo e unico obiettivo, forse al punto da scomodare l’Anima del Mondo penetrata nell’Alchimista di Paulo Coelho.
Sconfiggere la tensione di un sette metri.
Reggere l’urto di un avversario fisicamente più prestante.
La responsabilità di un tiro dai nove-dieci metri dopo che i compagni di squadra avevano faticato o aperto lo spazio.
Per Amore come unica soluzione.
Così, dopo aver inanellato in ogni dove, vittorie consecutive fatte di scarti pesanti e una finale sportivamente drammatica, a fine maggio del 2002, l’Ortigia under 16 si laureava campione d’Italia, nella maniera più clamorosa ma volutamente possibile.
Una storia resa importante, anche per la qualità degli avversari.
Fu l’ultima partita, l’ultimo capitolo, poi il canto del cigno nella maniera più incredibile, assurda ma paradossalmente leggendaria.
Così volle il Dio dello Sport.
Parole sagge, carezze leggere ma pesanti nei momenti più delicati, parallelismi dentro e fuori dal campo, senza la necessità di essere protagonista a livello mediatico (eccome se lo fosse stato), fino al silenzio di queste ore, nella maniera che rispecchia le sue sfumature.
Un time-out improvviso per un fine partita inaspettato, nonostante il secondo tempo ancora da disputare.
Non conta la destinazione ma il tragitto, il peggiore dei finali non cancella mai un inizio.
Semplicemente grazie.

Autore

Andrea La Rosa

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