Favoriti alla vigilia della finale, ancora favoriti alla vigilia di una gara 7 da giocare in casa, i Boston Bruins hanno invece visto sfumare clamorosamente la loro settima Stanley Cup; proviamo ad analizzare le ragioni della loro sconfitta (e della vittoria dei Blues).

Che alla vigilia i favoriti di queste Finals fossero i Boston Bruins lo avevamo scritto e, con noi, lo avevano scritto e detto praticamente tutti i media americani. Lo dicevano i numeri, della regular season e dei playoff, lo diceva l’enorme differenza di esperienza a questi livelli tra loro e i Blues, lo diceva infine il fattore campo, comunque a favore di Boston anche nell’eventuale gara 7. E gara 7 a Boston è stata, solo che a vincere la Stanley Cup sono stati i Blues; andiamo allora ad analizzare i fattori principali che hanno determinato questo clamoroso, e per molti versi storico, risultato.
IL (NON) FATTORE CAMPO
Come detto, doveva essere uno dei punti certi di forza per Boston, invece si è rivelato un boomerang. I Bruins hanno perso tre delle quattro partite giocate in casa, compresa la decisiva gara 7. Eccesso di pressione? Difficile, per una squadra piena di tanti veterani. Eccesso di sicurezza? Forse, anche se i Bruins non hanno preso gol su sciocchezze difensive o errori del portiere (anzi, Rask è davvero l’ultimo dei colpevoli per la sconfitta). C’è comunque una componente casuale, tipo i 21 tiri in porta e un solo gol, come in gara 7; non è questione di fortuna o sfortuna, è che certe volte va così e basta.
IL NULLA FUORI DAL POWER PLAY
Il power play di Boston è stato incontenibile (7 su 24 nelle Finals) e non da meno è stato il penalty killing, che ha portato perfino un gol in gara 4, il problema è stata la deludente resa offensiva nel 5 contro 5, in cui i Blues hanno segnato 17 reti contro le 14 dei Bruins. E il nodo è venuto definitivamente al pettine in gara 7, quando i Blues sono stati bravi a concedere una sola superiorità numerica e, guarda caso, i Bruins hanno segnato una sola rete, sullo 0-4. In questo discorso va inserita anche la scarsa resa, sempre in even strenght, della prima linea dei Bruins, la migliore di tutta nella NHL in regular season. In 5 contro 5 nelle Finals, invece, Marchand e Pastrnak hanno segnato una sola rete a testa, Bergeron addirittura zero.
INFORTUNI AI DIFENSORI
Boston ha dovuto rinunciare a Matt Grzelcyk in gara 2 e a Zdeno Chara in gara 4, finendo entrambi match con cinque difensori in rotazione e, guarda caso, perdendoli entrambi. Chara è rientrato già in gara 5, pur limitato dalla maschera integrale, mentre Grzelcyk ha dovuto saltare altre quattro partite, privando il reparto della sua tecnica nelle transizioni, elemento determinante per aggirare il continuo bodycheck degli uomini di St. Louis.


CI VUOLE UN FISICO BESTIALE
I Bruins hanno commesso l’errore di accettare la battaglia fisica, terreno su cui St. Louis è certamente più dotata, anziché privilegiare tecnica e velocità. Da gara 2 in poi, ad ogni match abbiamo assistito a molti scontri pesanti, talvolta fin troppo tollerati dagli arbitri; un lento ma inesorabile logoramento che, alla lunga, ha prodotto i suoi effetti. È un problema di difficile soluzione che devono spesso affrontare le squadre molto dotate tecnicamente quando arrivano ai playoff, dove il gioco è notoriamente più duro rispetto alla regular season.
Dovrebbero cercare di proseguire nella creazione di situazioni in cui far valere la loro superiore qualità tecnica, quindi controllo del disco, situazioni di uno contro uno, verticalizzazioni improvvise, adattandosi al fatto che gli avversari, molto probabilmente, cercheranno di picchiare più duro per fermarli. Alcune volte, invece, ed è questo il caso dei Bruins (ma anche dei Lightning), a mio parere, finiscono per snaturarsi, perdendo il loro dna in favore di una fisicità che, spesso, non gli appartiene, e finendo quindi per soccombere. L’eterno duello tra due modi opposti di concepire l’hockey.