
Ci lascia Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio, argentino con una grande passione per lo sport, in particolar modo al calcio di cui era tifoso del San Lorenzo; l’incontro con Diego Armando Maradona e in generale, un legame speciale con molte discipline.
Lo sport di mezzo, come metafora quando siamo a chiamati a dare il meglio di noi.
Ricordo perfettamente quel tardo pomeriggio d’inizio aprile 2005, giocavo a pallamano, quando una trasferta venne rinviata a data da destinarsi come gli incontri di qualsiasi disciplina.
Papa Wojtyla era nelle sue ultime ore di vita, pertanto si decise di azzerare qualsiasi impegno in onore di un uomo che aveva cambiato la storia dell’Occidente e non solo.
Perché da bambino rimane personalmente indelebile la sua venuta a Siracusa ad inaugurare il Santuario della Madonna delle Lacrime, in una fase che coinvolgeva delle visite nella stessa Sicilia, a quel tempo duramente colpita dalle stragi mafiose.
Ratzinger che celebrò quel funerale divenne Papa Benedetto XVI, fino ai giorni nostri di Francesco, in cui tutti i media nazionali stanno ininterrottamente raccontando fatti, testimonianze e più in generale, l’esperienza di questi anni come Vescovo di Roma.
Un Papa che lascia un ricordo personale di vicinanza allo sport come esperienza di comunità, bontà, solidarietà e senso d’inclusione.
Tra l’altro, senza mai nascondere, da buon argentino, la sua grande passione per il calcio, soprattutto per il San Lorenzo di cui è stato grande tifoso, società che gli ha dedicato tramite i propri canali social un lungo post di ringraziamento e commozione, con l’intenzione di dedicargli lo stadio.
Risaputo come Bergoglio nella Buenos Aires degli anni ’40, giocava al calcio con un pallone di stracci perché evidentemente il cuoio andava oltre l’economia a disposizione, poi con la famiglia si recava al Viejo Gasometro dove iniziò la passione per il San Lorenzo dove nel 1946 festeggiò il campionato, fino alla tessera numero 88.235 con tanto di foto da cardinale, apparsa dopo la sua proclamazione.
Il padre Mario era stato giocatore nella sezione di pallacanestro della stessa polisportiva, mentre colui che divenne Papa preferiva il calcio ma doveva fare i conti con i priori limiti essendo una pata dura, ovvero una gamba dura.
Tra parallelismi, il pontefice anni addietro, scelse proprio un’espressione del basket per comunicare: “sappiate fare perno e quel perno è la croce di Cristo, poi uno si muove, proteggendo la palla, con la speranza di fare canestro e cercando di capire a chi passarla”.
Il tema dell’impegno, perché si può nascere talentuosi ma non si può rimanere senza l’applicazione ed il sacrificio, oppure parallelismi nel fare squadra come avvenne per Mosè a cabina di regia del suo popolo, lo sport come festa e celebrazione, come una liturgia o una ritualità, dietro la verità di tanti campioni che hanno iniziato la loro avventura da bambini, vicino un campanile e nel campo di una vicina parrocchia.
Lo stesso Maradona aveva dichiarato di avere riabbracciato la fede con la sua vicinanza, chissà riavvicinandosi a quella mano di Dio.
Inevitabilmente molte società e federazioni di svariate discipline sportive, hanno dedicato un pensiero per l’accaduto, come ringraziamento alla disponibilità per essere stati ricevuti durante la presentazione di una manifestazione o più semplicemente una stretta di mano durante una determinata circostanza, doverosamente il Coni ha sospeso qualsiasi attività.
Come detto, un rapporto con lo sport, andato ben oltre la simpatia per una squadra ma nel significato della sana competizione, come spirito di lealtà e contro le scorciatoie a tentazione della vita.
Scorrono nel web, fotografie insieme a Buffon e Messi con una pianta d’ulivo segno di fratellanza prima di una partita, l’incontro con la madre di Cristian Ronaldo ricevendo in dono una maglia del portoghese, quella del Napoli da parte del presidente Aurelio De Laurentis, oppure della nazionale spagnola e tedesca di calcio, poi tante altre.
Impressa nel 2014 allo stadio Olimpico di Roma, la partita interreligiosa per la Pace a scopo benefico, cui parteciparono i migliori calciatori e allenatori, un evento di eccezionale valore simbolico e sociale, fondato sulla spiritualità con l’eccellenza sportiva, capace di riunire tifosi e calciatori seppur di diversa fede religiosa.
Per la fragilità di salute non aveva celebrato le principali funzioni della Settimana Santa, ma presente a sorpresa con degli strappi nonostante la convalescenza, fino alla notizia giunta probabilmente nel momento meno atteso.
Protagonista della politica internazionale, la presenza a portare un conforto nel drammatico terremoto di Amatrice e dintorni che rase al suolo città, persone e ricordi, la forza durante la pandemia in quella piazza San Pietro desolatamente vuota, nel momento più buio e di smarrimento, accompagnato solamente dalle sirene delle ambulanze, insieme ai tanti viaggi internazionali.
Un Papa della gente, per sua espressa volontà riposerà nella basilica romana di Santa Maria Maggiore e non nella basilica di San Pietro, con l’esposizione alla venerazione già dentro una bara, eliminando le tre tradizionali di cipresso, piombo e rovere.
Francesco è stato un riformatore, ha difeso gli ultimi, sempre, lasciando un’eredità purtroppo irrisolta che capiremo quando inizierà il successivo percorso.
Ne sentiremo la mancanza, con l’augurio e la speranza, che il successore possa continuare una comunicazione molto vicina ai giorni nostri, senza piedistalli, prendendo di petto eventuale narcisismi e argomenti non facili.
Bel ricordo. Direi opportuno. Complimenti.