
Ricorre l’ottantesimo anniversario della liberazione italiana dall’occupazione nazista e fascista, dove lo sport, da strumento di propaganda, mostrò invece alcune figure capaci di essere lungimiranti e attive in prima persona contro la dittatura.
In generale, il ruolo dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, rimane un tema molto complesso, ambiguo, con diverse interpretazioni e sfaccettature, chiaramente politiche.
Deciso dalla Resistenza e dal meridione, col cruciale aiuto Alleato proveniente dalle (a me) vicine coste della Sicilia sud-orientale, proprio su quelle strade che oggi siamo soliti percorrere quando ci rechiamo nelle località balneari dove, sui cigli stradali, a memoria di quei fatti, rimangono presenti una serie di bunker utilizzati come avamposto.
Dicevamo di complessità e contraddizioni, perché sotto il profilo urbanistico, il ventennio è stato probabilmente l’ultimo periodo con una precisa identità formale dalla grande alla piccola scala.
Opere irripetibili, basti vedere quanti palazzi e impianti, con i dovuti interventi migliorativi, sono ancora oggi utilizzati.
Certamente, col senno di poi, uno strumento di propaganda, come l’attività sportiva che giocò un ruolo fondamentale per il regime fascista, perché divenne rappresentazione di potere, forza e identità nazionale, con gli atleti impegnati (consenzienti o meno) in un doppio ruolo utile a promuovere la cultura dell’esercizio fisico e, al tempo stesso, di dare un’immagine della potenza e della resistenza dell'”italica stirpe”.
Il bene si fa, ma non si dice.
Gino Bartali
E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca.
Dunque lo sport come spettacolo e strumento per fare giungere messaggi politici-sociali di benessere ad un pubblico scarsamente allenato alla critica anche perché, in quegli anni, opporsi o criticare certe scelte, poteva costare la vita e quindi conveniva stare dalla parte giusta.
Emblema di cinica e arrivista propaganda, la storia o peggio l’epilogo di Luz Long, osannato lunghista e triplista tedesco, medaglia d’argento nel salto in lungo ai Giochi olimpici di Berlino 1936 battuto dall’americano Jesse Owens, poi mandato per punizione sul campo di battaglia della campagna di Sicilia dove morì.
Non tutti però la pensarono allo stesso modo.
Tra questi Gino Bartali, ciclista più amato anche a livello internazionale, che per la capacità di sofferenza e risultato sarebbe stato un perfetto simbolo della propaganda, eppure non fu mai fascista ed essendo fin troppo popolare, sarebbe stare scomodo agire crudelmente contro una bandiera italiana che sventolava al mondo.
Memorabile quando, dopo la vittoria del Tour de France del 1938, non ringraziò Mussolini e i gerarchi presenti al Parco dei Principi di Parigi accorsi per sfruttarne in maniera propagandistica il trionfo, “limitandosi” a ringraziare i tifosi francesi e italiani presenti durante la premiazione.
La vendetta non tardò, perché al suo rientro nella stazione di Firenze, venne totalmente ignorato col preciso intento di far calare il sipario, obiettivo non raggiunto visto l’affetto dei tifosi.
Negli anni successivi, iniziarono a circolare le voci secondo cui Bartali, durante gli anni bui in cui la morte veniva mascherata dal successo propagandistico, col pretesto degli allenamenti, trasportasse dentro il telaio della bici dei documenti falsi per aiutare gli ebrei ad avere una nuova identità e sfuggire ai campi di concentramento, salvando centinaia di persone e rischiando la fucilazione dovendo percorrere tanti chilometri giornalieri.
Storie come quelle del calciatore Matthias Sindelar, bandiera dell’Austria in quegli anni tra le nazionali più forti, soprannominato il “Mozart del pallone”, cui il rifiuto del nazismo fu purtroppo fatale. L’ultima partita disputata in Nazionale da Sindelar, avvenne in occasione della celebre “Partita della Riunificazione” disputata a Vienna il 3 Aprile del 1938 tra l’Austria (oramai annessa alla Germania) e la stessa nazionale tedesca, incontro che doveva sancire amichevolmente l’unione tra i due paesi con la conseguente dissoluzione della selezione austriaca ed il passaggio dei migliori giocatori nelle file della nazionale Terzo Reich, in modo tale da potere competere all’imminente mondiale cui l’Austria, pur qualificata, non avrebbe potuto partecipare.
Così i vertici della Gestapo, su richiesta di Sindelar, consentirono alla nazionale austriaca di utilizzare per l’ultima volta il proprio nome e i colori, imponendo che la partita finisse in pareggio, ne risultò che il calciatore austriaco, evidentemente spinto da motivazioni extra-sportive, giocò una delle migliori partite in carriera, umiliando gli avversari e spesso sbagliando appositamente sotto-porta per irridere i tedeschi, segnando la prima rete del vantaggio ed esultando sotto la Tribuna dopo i gerarchi assistevano all’incontro.
A fine partita, i calciatori secondo un rigido protocollo, furono chiamati a salutare festanti le autorità tedesche, tutti tranne Sindelar (e Sesta, autore dell’altro gol), che rifiutò la chiamata tedesca motivando un infortunio al ginocchio di cui avrebbe sofferto a inizio carriera.
Un affronto che gli costò la vita, perché il 23 gennaio 1939 fu ritrovato morto nel suo appartamento, abbracciato dalla compagna Camilla Castagnola, un’ebrea italiana.
L’inchiesta venne archiviata senza troppi approfondimenti, tanto da far circolare sospetti su qualche ascendenza ebrea, o un regolamento di conti nazista, ma di fatto, il campione austriaco non si era piegato a Hitler sfidando le leggi raziali.
Rimanendo in tema calcistico, come non menzionare Bruno Neri che già durante l’attività agonistica aveva mostrato disapprovazione al regime fascista, di cui resta celebre una foto del 1931 quando all’inaugurazione dello stadio fiorentino “Giovanni Verta”, oggi noto come “Artemio Franchi”, fu l’unico a non rendere omaggio alle autorità col saluto romano.
In piena guerra, dopo l’armistizio di Cassibile, si arruolò con la Resistenza partigiana nel ruolo di Vicecomandante del Battaglione Ravenna, cadendo il 10 luglio 1944 a Marradi mentre perlustrava il percorso che avrebbe dovuto condurre il battaglione per recuperare un aviolancio alleato.
Seppur fisicamente distanti da noi ma indirettamente vicine, purtroppo le tante guerre, la morte e la distruzione di questi tempi, soprattutto in Ucraina e sulla Striscia di Gaza, sembrano avere insegnato poco di quei tempi, un motivo in più per rinnovare quei fatti e per celebrare l’anniversario, in onore di quelle vittime, sensibilizzando le giovani generazioni e quelle che verranno.
Un fiore anche ai tanti giovani soldati che oggi riposano nei cimiteri di guerra, come quello situato a Siracusa tra i primi capoluoghi italiani a “cadere” in mano alleata, dopo i primi giorni dell’Operazione Landbroke, all’interno della più ampia Operazione Husky.
Un luogo che potrebbe essere meta di silenziose preghiere, di culto e destinazione.
Per ricordare ancora una volta la follia di tutto ciò, e dire mai più.
Complimenti Sport One, articolo molto interessante! W la Resistenza e la lotta per gli ideali, w la libertà e l’Italia antifascista!