Rilanciamo l’articolo di Gianluca Puzzo pubblicato sul numero 1 di RG24 magazine.
Tra le voci in entrata dei bilanci delle società calcistiche di Premiership e Bundesliga ce n’è una che in Italia è del tutto assente: gli introiti garantiti dalla cessione dei “naming rights” dell’impianto di gioco. Per capirci, lo stadio dell’Arsenal passa da “Highbury” a “Emirates Stadium” grazie a un contratto pluriennale e la società incrementa in un solo anno (dal 2006 al 2007) gli introiti derivanti dall’impianto del 37%. In Bundesliga, dove praticamente ogni squadra ha ceduto a uno sponsor il nome del proprio impianto, possiamo parlare dei 6 milioni di euro l’anno che la Allianz versa al Bayern Monaco o i 5,5 di cui beneficia lo Shalke 04 grazie all’accordo con la birra Veltins. In Italia ci accontentiamo solo di qualche palasport, ma sul fronte stadi siamo a zero, visto che la loro proprietà è del Coni. Anche la Juventus, unica proprietaria del proprio impianto, ha per il momento accantonato l’idea, temendo un impatto negativo sui propri tifosi. Ma in tempi di vacche magre, calcistiche e non, siamo davvero così certi di poter rinunciare a cuor leggero a introiti di questo tipo? È chiaro che tutto questo sarebbe più semplice se le società fossero proprietarie dell’impianto dove giocano ma, per evitare di attendere 30 anni, sarebbe impensabile ad oggi giungere a un accordo a tre in cui il Coni, in cambio del proprio consenso, riceverebbe una quota della sponsorizzazione?
Il problema, però, non è solo legale; ci sono anche gli impianti. Vetusti, squallidi o, peggio, pericolosi, gli stadi del nostro calcio professionistico sono indietro una o due generazioni rispetto ai loro corrispettivi inglesi e tedeschi. Quale marchio internazionale farebbe follie per legare il proprio nome a strutture così antiquate e scomode, con una logistica inesistente e, spesso, teatro di atti violenti? Infine, dov’è la multifunzionalità? Perché i nostri impianti aprono solo per il calcio, mentre altrove ospitano continuamente eventi anche non sportivi? Ogni squadra di serie A gioca in casa 19 partite: quale teatro, ad esempio, potrebbe mai essere in attivo lavorando solo 19 giorni in 10 mesi? A voler essere generosi, possiamo aggiungerci qualche concerto, arrivando così a 25 giorni di attività in 10 mesi, ma il discorso non cambia, evidentemente. Nessuno pretende di arrivare ai 300 eventi annui dello Staples Center di Los Angeles, ma in mezzo ci sarebbe davvero tanto da fare.
Come al solito, argomento interessante con valutazioni pertinenti e lungimiranti.
Saluti.
Molto interessante!
Grazie!