“L’inverno sta arrivando” per dirla col motto degli Stark nella nota serie televisiva “Il Trono di Spade”.
L’inverno fa più paura ora che la Nazionale islandese si è qualificata agli Europei del 2016 ed ha raggiunto il punto più alto di una crescita esponenziale che l’ha portata a raggiungere la ventitreesima posizione del ranking FIFA, sopra la Francia e la Svezia.
Tutte le analisi sulla crescita del movimento calcistico islandese si concentrano su due punti: la costruzione di nuove infrastrutture indoor, di campi in erba sintetica e di centinaia di campetti che hanno consentito di non interrompere le attività durante i mesi e la rivoluzione che ha riguardato il percorso per diventare allenatori con il patentino UEFA B o UEFA A. Solo a partire dal 2002, infatti, si è professionalizzato il sistema d’insegnamento per aspiranti allenatori, con una serie di corsi riconosciuti dalla UEFA che hanno rimpiazzato il vecchio sistema.
Investimenti e programmazione hanno di certo rappresentato la base per la crescita del movimento islandese, ma spiegano solo in parte il grande traguardo raggiunto dalla Nazionale. In fin dei conti, buone infrastrutture e allenatori preparati si trovano dappertutto in Europa.
Qual è in realtà il quid plus che ha fatto la differenza?
Il punto è che tutto il sistema calcistico islandese, a differenza della stragrande maggioranza degli altri Paesi europei, lavora in funzione della Nazionale. I grandi progressi a livello di infrastrutture e di preparazione degli allenatori non hanno migliorato di molto i risultati dei club. Anche quest’anno nessuna squadra islandese si è qualificata ai gironi di Champions o Europa League.
Non è quello l’obiettivo primario. L’importante è far crescere buoni giocatori, che poi cercano la loro strada in giro per l’Europa. Spesso il percorso prevede una tappa intermedia nei vicini Paesi scandinavi, ma ci sono le eccezioni: Gylfi Sigurdsson è andato direttamente in Inghilterra (al Reading), Kolbeinn Sigthórsson in Olanda (all’AZ Alkmaar). In Islanda il campionato è ancora fermo al semiprofessionismo e per i club stranieri è semplice e poco costoso comprare i giocatori più promettenti quando ancora sono dei ragazzini.
Il percorso di formazione iniziato in patria prosegue quindi in campionati più competitivi, che consegnano alla Nazionale calciatori più forti rispetto a quando sono partiti. Le dimensioni dell’Islanda fanno il resto: i giocatori spesso si conoscono e crescono insieme facendo la trafila delle selezioni giovanili fino ad arrivare a quella maggiore. Buona parte dell’Under 21 qualificatasi nel 2011, per la prima volta nella storia, agli Europei di categoria compone adesso l’ossatura della Nazionale maggiore.
L’Islanda ha in qualche modo ribaltato il rapporto club-Nazionale. Non esiste un “blocco” di giocatori di un club (si pensi ad esempio all’importanza che ha avuto storicamente la Juventus per l’Italia, Barcellona e Real Madrid per la Spagna, il Bayern Monaco per la Germania), ma è la Nazionale il “blocco” stesso, che poi rimanda i giocatori ai rispettivi club.
«Lo stile di gioco è la prima cosa. L’impegno deve essere alto per tutto il tempo. Se un giocatore non si impegna non gioca». Il 4-4-2 giocato dall’Islanda è tanto scolastico quanto efficace. Nel girone di qualificazione agli Europei gli islandesi hanno subito gol solo dalla Repubblica Ceca (andata persa e ritorno vinto, sempre per 2-1), poi il funambolico 2-2 dell’ultima partita con i giocatori evidentemente non motivati dopo essere stati in vantaggio di 2 gol.
La fase difensiva è il punto di forza della squadra, la base sulla quale sono stati costruiti tutti i successi.
Il pressing è tutt’altro che ossessivo, se la squadra avversaria torna indietro o cambia gioco i giocatori recuperano le loro posizioni mantenendo come priorità la compattezza: l’Islanda recupera palla soprattutto forzando l’errore avversario, specie costringendo al lancio lungo, forte della superiorità sulle palle alte. Nell’undici base solo due giocatori, il capitano Aron Gunnarsson e il terzino sinistro Ari Skúlason, sono sotto il metro e 80.
Quando invece attacca palla a terra, la manovra è lineare si cerca continuamente il cross e raramente si attacca centralmente.
Il ruolo di Sigurdsson, la stella della squadra, nello sviluppo dell’azione è limitato essendo sfruttato in particolare negli ultimi 30 metri come scarico centrale per i compagni che portano il pallone sulla fascia e come presidio del limite dell’area sui cross. L’obiettivo è trarre il massimo vantaggio dalla sua straordinaria capacità di calcio, permettendogli sempre di guardare la porta.
Sigurdsson è il capocannoniere della squadra con 5 reti ed è determinante soprattutto nei calci piazzati, la principale arma offensiva dell’Islanda, che ha segnato oltre la metà dei suoi gol nel girone di qualificazione da palla inattiva. Oltre che sul giocatore dello Swansea, tra l’altro, l’Islanda può contare su uno specialista come Emil Hallfredsson. E gli schemi da calcio piazzato non riguardano solo punizioni e angoli, ma anche le rimesse laterali.
In Francia troveremo insomma una squadra superorganizzata, con un’ossatura di buona qualità (oltre a Bjarnason e Hallfredsson, che in Italia abbiamo potuto seguire da vicino, occhio a Skúlason e Sigthórsson), un giocatore sopra la media, Sigurdsson e, forse, un totem come Eidur Gudjohnsen, che a 37 anni ha un ruolo limitato nella squadra, ma con la sua esperienza può essere decisivo fuori dal campo o in spezzoni limitati di gara. L’Islanda non farà la parte della comparsa e anzi il nuovo formato, che qualifica agli ottavi le quattro migliori terze, potrebbe darle concrete chance di andare oltre la fase a gruppi.
La nuova frontiera del calcio europeo si trova a due passi dal circolo polare artico. Anche noi faremmo bene ad alzare lo sguardo e accorgerci che l’inverno sta arrivando.