Ricorderemo a lungo le settimane appena trascorse, siamo campioni d’Europa in una circostanza che per certi versi riporta al famosissimo Maracanazo, quando il Brasile nella convinzione di superiorità, contro l’Uruguay perse la coppa del mondo ’50 nel proprio stadio.

Non conto più le bozze per commentare un europeo che al netto della vittoria azzurra, è stato il più bello mai disputato per una serie di eventi a cominciare dalla suggestiva inaugurazione allo Stadio Olimpico di Roma, protagonista Andrea Bocelli intonando il Nessun Dorma, quasi a scuoterci per voltare pagina, senza perdere ancora di vista come il Covid tramite le varianti, resta ancora un nemico da sconfiggere cui ciascuno di noi è chiamato a fare la propria parte.
A questa ondata di buoni propositi il terrore relativo alla vicenda del danese Christian Eriksen, salvato quasi certamente dalla circostanza di avere i sanitari pronti a bordo campo, in un insieme di immagini televisive che resteranno impresse così come la lucidità del capitano Simon Kjaer fondamentale nel capire immediatamente l’accaduto prestando i primi decisivi soccorsi, poi insieme ai compagni di squadra a fare da barriere evitando che le telecamere riprendessero quei drammatici momenti.
C’è soprattutto la storia dell’italianissimo c.t. dell’Ungheria Marco Rossi, nemo profeta in patria che nonostante il girone di ferro con Francia, Germania e Portogallo, ha sfiorato l’impresa di qualificarsi agli ottavi di finale.
Abbiamo visto esordire nuove nazionali come quella macedone, fuori nella fase che ha ringraziato il proprio capitano Goran Pandev con una standing ovation prima della sua ultima sostituzione.
Tantissime le sorprese che hanno sovvertito gli iniziali pronostici, tra tutti l’eliminazione della Francia campione del mondo agli ottavi di finale contro la Svizzera, così come il percorso della stessa Danimarca, promossa nella fase a gironi con una sola vittoria nell’ultima giornata contro la Russia ed eliminata in semifinale dall’Inghilterra per un rigore a dir poco generoso.
Per scrivere sul cammino degli azzurri servirebbero dei tomi, a cominciare dal “porca puttena” esclamato nei primi gol come slogan o rito scaramantico (fate voi) chiesto dal grande Lino Banfi, ma soprattutto l’Inno di Mameli mesi addietro cantato sui balconi nei momenti
più duri, e ritrovato davanti alla Tv in un’esplosione di gioia verso una nuova vita attaccati alla maglia azzurra.
Un squadra priva del cosiddetto fuoriclasse ma piena di sostanza che si è divertita, progressivamente cresciuta con numeri importanti a testimoniare come pur non essendo la formazione da battere, chiunque doveva affrontarci con rispetto, lo stesso acquistato nelle settimane dopo aver praticamente dominato la fase iniziale contro Turchia, Svizzera e Galles.
Guardando il ranking delle nazionali incontrate nel girone, oggi sembra facile dare per scontato il risultato, tutt’altro basti pensare agli svizzeri qualificatisi al foto-finish tra le migliori terze e ad un soffio dalla semifinale battuti ai rigori dalla Spagna.
Poi la vittoria ai supplementari contro la coriacea Austria, la magica serata sul Belgio come a zittire coloro che minimizzavano il percorso fin lì intrapreso, la complicatissima semifinale vinta ai calci di rigore contro la Spagna, capace di farci soffrire come nessuno scegliendo tatticamente il falso nueve senza dare riferimenti alla difesa.
E poi la finale contro gli inglesi, talmente sicuri di vincere quasi da programmare la successiva festa nazionale con Wembley quasi interamente destinato ai tifosi di casa, gli stessi capaci di fischiare il nostro Inno senza però fare i conti con gli azzurri, coraggiosi e forti come impavidi guerrieri, per una vittoria sofferta e in rimonta ai calci di rigore, risultato che assume tratti sportivamente epici se pensiamo all’ultimo mondiale visto dalla Tv.
Sono felice anche se domani sarà purtroppo un altro giorno.
Sono felice per tutti coloro che in quel momento, hanno sentito una persona cara accanto.
Sono felice soprattutto per tutti quei bambini che dopo i difficili mesi di lockdown, limitazioni sociali, divieti di ogni tipo come una visita d’istruzione, una recita scolastica e l’utilizzo di mascherine come se fossero un paio di scarpe, hanno liberamente vissuto questa gioia memorizzando con chi, dove e come hanno visto, sofferto e poi esultato per la nostra nazionale.


Bravo Andrea: bella analisi della vittoria azzurra senza trascurare gli aspetti salienti, soprattutto quelli umani, delle altre squadre.