Stanley Cup Finals: Tampa al capolinea, Chicago è di nuovo campione NHL

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CT hawks-bruins55.JPGI Chicago Blackhawks e la loro generazione di fenomeni non hanno fallito l’appuntamento con il loro pubblico, che li voleva campioni sul ghiaccio casalingo dello United Center. Gli straordinari ragazzi di Quenneville, il coach al terzo titolo in sei anni come alcuni dei suoi giocatori (Toews, Keith, Kane, Hjalmarsson, Hossa e Sharp), hanno superato più nettamente di quanto dica il risultato, 2-0, i Tampa Bay Lightnings anche in gara 6, chiudendo la serie 4-2 e alzando per la sesta volta nella storia della franchigia dell’Illinois la Stanley Cup, il sogno di chiunque, a qualsiasi latitudine, giochi a hockey su ghiaccio.

Per gli sfiniti Lightnings visti nelle ultime due partite e mezza di questa finale la sirena conclusiva, pur nella grande delusione, è stata quasi una liberazione. Troppo ampio il divario maturato tra le due squadre, con gli Hawks saggi a non strafare ma completamente padroni del ghiaccio e i ragazzi di Cooper privi ormai di brillantezza in quasi tutti i loro uomini chiave, quelli che avevano portato questa squadra fino alla finale facendole giocare il miglior hockey dell’intera NHL. Spentisi strada facendo i vari Johnson, Killorn, Stralman e Brown, con Bishop fuori di testa nei disimpegni dopo il pasticciaccio di gara 5, con capitan Stamkos ancora alle prese con la sua astinenza da gol e con i soli Filppula e Kucherov ancora in grado di puntare con efficacia la porta avversaria, ai Lightinings è rimasto davvero poco o nulla per contrastare una squadra matura, che voleva fortissimamente questo titolo e che sapeva come raggiungerlo senza strafare. Tampa Bay esce complessivamente a testa altissima da questi playoff, ma nello specifico della finale ha mostrato la corda, scoprendo il lato debole del gioco offensivo di Cooper: il grande dispendio di energie.

Gli Hawks, da parte loro, certificano come anche in regime di salary cap sia possibile costruire una dinastia duratura nel tempo, avendo occhio (e fortuna) nel draft e lasciando ai giovani di talento il tempo di maturare accanto a giocatori esperti e rocciosi, che sappiano insegnar loro quel che serve per vincere una Stanley Cup. Questo gruppo, immutato nella sua struttura portante, ne ha vinte addirittura tre, alternando sapientemente momenti di hockey spumeggiante (vedi le ultime partite di semifinale contro Anaheim) ad altri di attenta gestione del puck e degli spazi, senza strafare ma senza mai essere remissivo o, per mutuare un termine calcistico, “catenacciaro”.

Gara 6 ha offerto il suo meglio nel primo tempo, quando Tampa aveva ancora energie per ribattere colpo su colpo a Chicago, con un’alternarsi di occasioni davvero appassionante, a dispetto delle reti ancora inviolate. Arrivo a dire che, ai punti (come nel pugilato), il vantaggio lo avrebbe meritato proprio Tampa, che ha creato di più e con più continuità, rispetto alle occasioni sporadiche degli Hawks, spesso nate dalle follie di Bishop in fase di liberazione. Ma, come abbiamo già scritto durante questa serie, la superiorità va concretizzata in rete, altrimenti è pura accademia, e i tiri dei Lightnings si sono fermati contro Crawford o contro la traversa, come il proiettile di Stamkos rimbalzato addirittura fino alla linea blu. Gli Hawks hanno aspettato pazientemente l’inevitabile calo degli avversari e poi li hanno puniti, con una rete dopo 17′ del secondo periodo di Duncan Keith (poi premiato come miglior giocatore dei playoff) che ha raccolto il rimbalzo di una sua stessa prima conclusione e tutto solo lo ha depositato in rete con il suo marcatore, Paquette, completamente sulle gambe. Da lì Chicago ha preso a giocare come il gatto col topo, con Tampa orgogliosa che provava a imbastire qualcosa per pareggiare ma troppo poco lucida per trovare il bandolo della matassa, cosa che solo 15 giorni fa le sarebbe riuscita senza problemi. E alla fine, dopo 14′ dell’ultimo periodo, è arrivato il gol in contropiede di Kane, a spegnere i sogni di gloria di Tampa e ad accendere luci e musica sulla grande festa dello United Center.

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Gianluca Puzzo

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