Non è la prima volta che le Olimpiadi vengono fermate da eventi di forza maggiore. I giochi di Tokyo sono rimandati al 2021, ma più che una sconfitta, la sensazione è che l’evento sarà, presto o tardi, una vittoria di tutti.

Alla fine è andata come da più parti si auspicava. A causa della pandemia del Covid-19, lo scorso 24 marzo il CIO ha annunciato lo spostamento delle Olimpiadi estive previste dal 24 luglio al 9 agosto, ad un periodo non successivo all’estate 2021. Un fatto sicuramente storico (svolgimento in anni dispari) ma non inedito, perché tra gli eventi dell’era olimpica moderna non sono mancate interferenze dovute a conflitti ed eventi politici.
Il primo stop dopo i giochi di Atene 1896 risale al 1916, a causa della prima guerra mondiale, con strascichi ad Anversa 1920 dove alle nazioni sconfitte fu impedita la partecipazione. Dopo le Olimpiadi di Berlino del 1936, utilizzate dalla dittatura nazista come strumento di propaganda, arriva il secondo stop, nuovamente dovuto ad una guerra mondiale. Nessuna olimpiade nel 1940 e nel 1944, quindi, cpon strascichi anche nei giochi della rinascita, Londra 1948, cui non viene nuovamente concesso di partecipare alle nazioni sconfitte, con l’eccezione dell’Italia, ammessa in seguito all’armistizio del 1943. L’Unione Sovietica e il blocco comunista, preferendo una propria competizione internazionale chiamata “Spartachiadi”, parteciperà solo a partire da Helsinki 1952, cui verranno riammesse anche Giappone e Germania, quest’ultima divisa in tre Stati: Repubblica federale Tedesca, Saar e Repubblica Democratica Tedesca (che non partecipò). Dagli anni ’50 inizia il lungo periodo dei boicottaggi: è il caso di Melbourne 1956 dove Paesi Bassi, Spagna e Svizzera non partecipano in segno di protesta alla repressione sovietica durante
la rivolta ungherese, mentre Cambogia, Egitto, Iraq e Libano si rifiutano di scendere in gara per la crisi di Suez. Ancora tensioni a Montreal 1976, quando moltissimi Stati africani, insieme ad Iraq e Guyana, boicottano i Giochi in risposta alla tournee della nazionale neozelandese di rugby in Sudafrica, in cui vigeva il regime dell’apartheid. Gli USA, con altre 65 nazioni, non partecipano a Mosca 1980 per protestare contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan, e gli stessi russi, sempre insieme ai Paesi membri del Patto di Varsavia, si vendicheranno quattro anni dopo, a Los Angeles 1984, dove comunque partecipano la Jugoslavia (non allineata, che ospitava nello stesso anno le olimpiadi invernali), la Cina (trent’anno dopo l’ultima volta) e la Romania (seconda nel medagliere e caldamente accolta dagli Stati Uniti). In ultimo arriviamo a Seul 1988, in Corea del Sud, dove la Corea del Nord, dopo aver preteso senza successo di ospitare alcune discipline sul proprio territorio, decide di non partecipare, seguita da altre nazioni. Una cronologia ricca (purtroppo) di eventi storici ha attraversato le Olimpiadi, come si può vedere, ma che ora si arricchisce di un nuovo “casus belli”, stavolta sanitario, mai verificatosi in precedenza.
Ma siamo certi che, presto o tardi, i giochi di Tokyo 2020, così chiamati nonostante il differimento, avranno luogo e saranno una manifestazione sportiva di pace, destinata a segnare la voglia di rinascita e ritorno alla vita comune dell’intera popolazione mondiale.

