Nessuno, nel 1979, poteva immaginare che quel titolo mondiale Piloti appena conquistato da Jody Scheckter sarebbe stato l’inizio della più lunga astinenza dal vertice della Formula 1 nella storia della Scuderia Ferrari. Gli anni Ottanta, con i motori turbo protagonisti assoluti del palcoscenico, diventano regno incontrastato delle scuderie inglesi Williams e McLaren, con due sole eccezioni nella classifica Piloti, i titoli di Nelson Piquet dell’81 e ’83 sull’australiana Brabham. In casa Ferrari il decennio porta sì due titoli Costruttori consecutivi, 1982 e ’83, ma a prezzo di molte attese deluse e, soprattutto, di alcuni dolorosi lutti: nel 1982, a Zolder, scompare il funambolico e amatissimo Gilles Villeneuve e poche gare dopo, a Hockenheim, il suo compagno Pironi subisce un incidente dalle conseguenze talmente gravi da chiuderne la carriera. Il 14 febbraio 1988 la Ferrari perde anche il carisma e la personalità del suo fondatore Enzo, soffrendo un vuoto nella dirigenza della gestione sportiva che verrà colmato solo nel 1991 con l’arrivo, dalla FIAT, di Luca Cordero di Montezemolo, già responsabile della Squadra Corse delle rosse a metà degli anni Settanta.
Gli anni Novanta sembrano aprirsi con i migliori auspici per la Ferrari, grazie alla messa al bando del turbo e all’arrivo di un pilota vincente, Alain Prost: il francese sfiora il titolo già alla prima stagione, nel 1990, cedendo all’odiato rivale Senna solo all’ultima gara, a Suzuka, dopo una collisione tra i due che alimenterà infinite polemiche. Già nel ’91, però, il rapporto tra Prost e la Ferrari si rompe, con il pilota addirittura licenziato prima del G.P. d’Australia per aver definito pubblicamente la sua auto “guidabile come un TIR”.
Seguiranno altre stagioni amare, con due piloti talentuosi come Alesi e Berger impossibilitati a lottare per il vertice (2 sole vittorie dal 1992 al ’95) da mezzi decisamente inferiori a quelli della migliore concorrenza, ancora rappresentata da McLaren e Williams. Proprio nel tentativo di inseguire il dominio McLaren, viene persino ingaggiato in due distinti periodi il progettista Barnard, autore delle imbattibili monoposto inglesi, ma con il solo risultato di spostare inopinatamente una parte della Squadra Corse in Inghilterra.
La lenta ricostruzione della Ferrari inizia nel 1991 con l’arrivo come presidente di Montezemolo, seguito due anni dopo da quello di un’altra figura determinante, quella di Jean Todt come direttore della Squadra Corse. Questa coppia di straordinari dirigenti verrà affiancata, a partire dal ’96, da un terzetto altrettanto straordinario proveniente in blocco dalla scuderia Benetton, campione del mondo nel 1994 e ’95, composto dal pilota tedesco Michael Schumacher, dal progettista sudafricano Rory Byrne e dal supervisore tecnico inglese Ross Brawn. Col senno di poi, il 1996 può essere davvero considerato l’alba dell’epoca d’oro della Ferrari, un’epoca che non trova eguali nella storia della Formula 1 e che consentirà a Schumacher di diventare il pilota più vincente di tutti i tempi, arrivando a superare perfino il record di 5 titoli mondiali stabilito da Fangio nell’ormai lontano 1957.
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Si tratta di un preciso periodo, assolutamente memorabile per gli amanti dell’automobilismo “made in Italy”.
Michael Schumacher è stato un pilota di altissimo livello il cui carattere emotivo, l’ha portato sempre al limite tra il paradiso e l’inferno.
Come non dimenticare l’episodio di Jerez su Villenueve oppure il grande finale di stagione nel 1999 (vado a memoria), quando si mise a disposizione del team aiutando Eddie Irvine alla conquista del titolo o quella terribile incomprensione con David Coulthard (ormai doppiato) che gli costò la vittoria in un Gran Premio del Belgio sotto il diluvio.
Al limite, sempre.
Un pilota, ma soprattutto un team di altissimo livello visto i nomi sopracitati, ma i cicli iniziano e finiscono.
Per il futuro, non ci resta che sperare.
Complimenti Gianluca.
Concordo sul breve ritratto di Schumacher; chi per tanti anni ha confuso il suo agonismo, la sua faccia pseudo-antipatica, il suo ostinarsi a non imparare l’italiano come i tratti distintivi di un ragioniere del volante, attaccato solo ai soldi, ha la memoria davvero corta. Schumacher ha fatto cose sensazionali, prima al volante della Benetton e poi della Ferrari. Come se un campione, per essere tale, debba essere per forza anche simpatico. Peccato solo per quel ritorno senza capo né coda al volante della Mercedes. Nello sport, in tutti gli sport, i “ritorni di fiamma” funzionano molto di rado. Grazie a te per il commento, continua così: Sport One ha bisogno anche delle opinioni dei suoi lettori.
Bellissimo ricordare i leggendari 5 anni di dominio Ferrari insieme al grande Michael. Articolo molto bello in stile Gianluca.