All’alba del 2019, con grande ritardo rispetto alle altre potenze dello sport mondiale, il doping sta per diventare reato penale anche in Cina.

Una delle grandi falle dell’antidoping mondiale è la differenza tra le singole legislazioni nazionali in materia, che passano dal punire il doping alla stessa stregua di un reato penale (come in Italia, ad esempio) a renderlo una semplice infrazione amministrativa, con pene risibili, equivalenti a una tiratina d’orecchie per medici, allenatori e atleti. L’agenzia antidoping mondiale, la WADA, agisce in occasione delle manifestazioni principali, effettua anche molti controlli fuori competizione, ma per stroncare davvero il traffico di sostanze dopanti, a partire da quelle utilizzate già a livelli giovanili e amatoriali dello sport, serve l’intervento duro delle singole agenzie antidoping nazionali, supportate da adeguati mezzi legislativi.
Notizie delle ultime settimane ci dicono che finalmente anche la Cina, una delle grandi potenze dello sport mondiale, è in procinto di approvare una serie di norme, elaborate dal Ministero dello Sport e dalla Corte Suprema, tese ad equiparare il doping ad un reato penale, quindi con pene detentive per chi infrange i regolamenti antidoping. Pare che la molla definitiva per produrre la legge sia scattata a seguito di alcuni controlli effettuati presso le scuole sportive giovanili, dove molti campioni hanno rivelato l’uso di sostanze dopanti già alla giovane età degli studenti. Che sia vero come pretesto o meno, era solo questione di tempo prima che la Cina decidesse di dare una risposta forte a tutti gli scandali doping che hanno investito i suoi atleti negli ultimi dieci anni e alla fama risaputa di essere il più facile mercato del doping mondiale.
Gou Zhongwen, direttore dell’Amministrazione generale dello sport cinese
La nostra volontà è di mostrare al mondo che siamo veramente seri nell’antidoping
Che poi la durezza di questa risposta sia reale o di facciata, sarà solo il tempo a stabilirlo; è evidente come anche la legge più severa possa rimanere carta straccia se non la si applica con i dovuti mezzi e il dovuto impegno. A partire dagli 11 nuotatori trovati positivi dopo i Giochi Asiatici di Hiroshima nel 1994, quello tra lo sport cinese e il doping è stato un rapporto dapprima sussurrato nei corridoi e poi sempre più provato dai test di laboratorio, via via sempre più al passo con le sostanze da ricercare. Il 2016 fu un altro “annus horribilis” per l’immagine dello sport cinese, che si vide privare, a otto anni di distanza dalle storiche Olimpiadi di casa a Pechino, di ben tre medaglie d’oro nel sollevamento pesi, grazie alle analisi effettuate con nuove tecnologie dalla WADA su campioni di sangue e urina congelati durante i Giochi.
Purtroppo, è ben lunga la lista di Paesi a cui sono state tolte
medaglie conquistate a Pechino (a guidarla è la Russia, con ben 8 argenti e 3 bronzi tolti), una lista che ha costituito un danno d’immagine incalcolabile per il movimento olimpico e quel che esso rappresenta. Ad aprile dello stesso anno, il 2016, la Cina si vide sospendere dalla WADA anche il proprio laboratorio antidoping accreditato, quello di Pechino, per gravi inadempienze nelle procedure di controllo. Nel 2017, infine, piombò sullo sport cinese anche l’uragano della dottoressa Yinxian Xue, ex medico della squadra olimpica cinese che, una volta fuggita in Germania, dichiarò che, a partire dagli anni Ottanta, circa 10 mila atleti cinesi di tutte le discipline (anche non olimpiche) erano stati sottoposti a sistematico doping di Stato.
Insomma, una colossale debacle che non poteva rimanere senza risposta; ora, seppur con grave ritardo, questa risposta è sul punto di arrivare.
Notizia molto importante. Verrebbe da dire “meglio tardi che mai”. Comunque complimenti per l’articolo molto bene articolato e completo.